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giugno 2001

I Ragazzi del Coro

hanno presentato

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  • a cura di Ada Nifos� e Sandra Zecchini

Quando si conosce un gatto si trovano in lui tanti compagni diversi: un animale pigro e rumoroso, un umano comprensivo, uno specchio attraverso il quale cercare la propria forma ideale. Le vie di comunicazione alternative al linguaggio, costruite empiricamente attraverso la vicinanza col micio, sono talmente sorprendenti che l'uomo si sente in dovere di reprimere i propri stupidi suoni scimmieschi per imparare qualcosa da quel figurino impassibile e sempre consapevole della propria superiorit� a tutto. Come descrivere dunque (un po' meglio di me) questo rapporto che oserei definire ironicamente provvidenziale in certi casi della vita?

William Burroughs nel suo "Il gatto in noi" attribuisce un'importanza vitale ai suoi incontri veri o immaginari con i gatti, avvenuti dall'infanzia fino alla maturit�, in quanto costituiscono allegoricamente le principali tappe interiori del suo passato. Se potessi rendere a parole lo scroscio di applausi che � seguito allo spettacolo GLI STREGATTI, lo prolungherei ancora un po', per rendere onore al merito ma anche per invogliare quei simpatici ragazzi del Minghetti che preferiscono guardare la televisione invece di partecipare alle iniziative teatrali dei loro dotati compagni. Ma bisogna essere indulgenti perch� non sempre si ha il tempo e la pazienza di guardare i volantini a scuola e di informarsi. In questo spettacolo la regista e gli attori hanno dato vita, attraverso una riuscita interpretazione di brani scritti per l'appunto da Burroughs, oltre che di poesie di Eliot, a vari personaggi in veste felina.

Questi personaggi non sono stereotipi n� di gatti n� di uomini: sono ibridi di entrambe le specie che lasciano spazio ad un'interpretazione aperta e un po' folle del comportamento animale. Ogni tipo di gatto � introdotto da un divertente scambio di opinioni fra due personaggi. In questi dialoghi i personaggi si danno sempre un contegno di seriet�, anche se trionfa una pungente ironia come nel caso dei due vecchietti nostalgici che parlano dell'estinzione del gatto selvatico o di altri due attori che elencano compiaciuti i risultati di fantasiosi incroci di gatti. Ma se � ancora individuabile nel dialogo uno scopo di ironica denuncia contro la violenza o la cinica tendenza all'utile (Burroghs contro entrambe dice infatti: "Cavare gli occhi a un gatto? Neanche se mi danno pile di soldi da arrivare al cielo radioattivo!"), nelle caratterizzazioni della dama-micia indolente o dell'impavido Sandogatt si sfocia nella mancanza di senso pi� totale, ci si perde con allegria fra i colori dei costumi, il volteggiare vorticoso degli ombrellini e i giochi di parole cantilenanti (se i pubblicitari riuscissero a trovare un'idea come il "bianco gattiginoso" farebbero i miliardi…).

Ma una figura solitaria distesa conclude la serie di dialoghi facendoci capire che il non-sense nelle caratterizzazioni corali dei personaggi non � un punto a sfavore ma il risultato di una scelta: ha infatti la funzione di ricostituire l'atmosfera di quel momento dell'infanzia a cui risalgono i primi contatti con un mondo dove l'innocenza era protetta da ogni logica di sopraffazione e i gatti non erano mortali e tristi come, ahim�, sono tutti gli animali adulti, ma si trasformavano in omini grigi e renne verdi per giocare sempre con noi.

 

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